Riciclaggio e D.Lgs. 231/01: Le recenti evoluzioni giurisprudenziali sul fronte della compliance aziendale

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Riciclaggio e D.Lgs. 231/01: Le recenti evoluzioni giurisprudenziali sul fronte della compliance aziendale

La crescente attenzione verso i reati di riciclaggio e autoriciclaggio nel contesto della responsabilità amministrativa degli enti ha portato a importanti sviluppi giurisprudenziali che meritano un’analisi approfondita. Negli ultimi anni, la Corte di Cassazione ha definito con maggiore precisione i confini dell’applicazione del D.Lgs. 231/2001 in relazione ai reati previsti dall’art. 25-octies, chiarendo concetti fondamentali come l’interesse, il vantaggio e il profitto confiscabile.

I presupposti fondamentali della responsabilità degli enti

La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche prevista dal D.Lgs. 231/2001 si fonda su tre elementi essenziali:

  1. La commissione di un reato presupposto
  2. La sussistenza di un interesse o vantaggio per l’ente
  3. La presenza di una relazione qualificata tra l’autore del reato e l’ente

Come chiarito da diverse pronunce della Cassazione, l’interesse va valutato ex ante e rappresenta la finalità che ha mosso la condotta del soggetto agente, mentre il vantaggio è un elemento oggettivo riscontrabile ex post, rappresentato dal beneficio concreto ottenuto dall’ente. Questi concetti non costituiscono un’endiadi, ma sono alternativi e concorrenti, come ribadito nelle sentenze n. 24559/2013 e n. 10265/2014.

I reati di riciclaggio nel sistema 231

L’art. 25-octies del D.Lgs. 231/2001, introdotto dall’art. 63 del D.Lgs. 231/2007, prevede la responsabilità dell’ente per i reati di:

  • Ricettazione (art. 648 c.p.)
  • Riciclaggio (art. 648-bis c.p.)
  • Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.)
  • Autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.)

Questi reati si qualificano come delitti plurioffensivi, in quanto non ledono soltanto interessi patrimoniali, ma provocano danni anche all’economia e al mercato, incidendo profondamente sul funzionamento del sistema economico.

La recente evoluzione giurisprudenziale sul tema dell’autoriciclaggio

Una delle pronunce più significative in materia è la sentenza n. 47/2025 della Cassazione Penale, che ha confermato la responsabilità amministrativa di una società per il reato di autoriciclaggio. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che un ente possa essere considerato responsabile quando trae un interesse o un vantaggio dalla commissione del reato presupposto.

Particolarmente interessante è l’affermazione che il vantaggio per l’ente sussiste anche quando l’operazione illecita mira alla mera sopravvivenza dell’attività aziendale, e non solo all’arricchimento degli amministratori. In questo contesto, la mancata adozione di un adeguato Modello Organizzativo 231 è stata determinante per stabilire la responsabilità dell’ente.

Il profitto confiscabile nei reati di riciclaggio

Un tema cruciale riguarda la definizione del profitto confiscabile all’ente in caso di condanna per riciclaggio. Le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 26654/2008) hanno stabilito che il profitto confiscabile è costituito dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato, senza necessità di individuare e differenziare l’utile effettivamente incamerato dall’ente.

Tuttavia, tale principio non trova applicazione indiscriminata:

  • Se l’operazione economica ha natura totalmente illecita (reato-contratto), è confiscabile l’intero importo
  • Se il reato si consuma nell’ambito di un’ordinaria attività d’impresa (reato in contratto), va esclusa dalla confisca quella parte di utilità corrispondente a una prestazione regolarmente eseguita

Proporzionalità nelle misure ablative

Un recente intervento della Cassazione (sentenza n. 9636/2025) ha stabilito un importante principio di proporzionalità: la confisca del profitto di reato deve essere commisurata alla reale partecipazione degli imputati. In caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca è disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto concretamente conseguito. Solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo, si applica il criterio della ripartizione in parti uguali.

La configurabilità del reato nelle operazioni infragruppo

La Cassazione (sentenza n. 5719/2019) ha riconosciuto che il reato di autoriciclaggio è configurabile anche in caso di bonifici infragruppo, qualora attingano a provviste di origine illecita. In particolare, il trasferimento di denaro proveniente da attività criminosa da un conto corrente ad un altro diversamente intestato, anche se nell’ambito dello stesso gruppo societario, può integrare la condotta dissimulatoria richiesta dall’art. 648-ter.1 c.p.

Conclusioni: l’importanza della compliance antiriciclaggio

Alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale esaminata, emerge con chiarezza l’importanza di implementare efficaci sistemi di compliance antiriciclaggio all’interno delle organizzazioni aziendali. La funzione compliance, con riferimento al Modello 231, ha la finalità di valutare la corretta conformità normativa e contestualmente di salvaguardare la società dal rischio di danni punitivi, economici e reputazionali.

Le attività di adeguata verifica della clientela, di valutazione del rischio e di segnalazione delle operazioni sospette sono diventate il principale strumento di prevenzione dei reati AML, garantendo un’efficace attuazione dei Modelli 231. La mancata adozione di tali presidi può comportare severe conseguenze per l’ente, come confermato dalle recenti pronunce giurisprudenziali.

Le società devono pertanto prestare particolare attenzione all’implementazione di misure preventive specifiche per i reati di riciclaggio e autoriciclaggio, considerando che anche operazioni apparentemente lecite, come i bonifici infragruppo o i pagamenti di debiti fiscali, possono configurare illeciti se effettuate con proventi di attività criminose.

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